Le cose che scrivo sono da intendersi come opinioni e non hanno la pretesa d’essere delle verità; Nietzsche scrisse un tempo:” Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche della verità”.
Ho spesso parlato di etica e di morale ed ho attribuito ad esse dei significati secondo il mio modo di interpretare la realtà, che non è verità ma opinione.
La morale è qualcosa (naturalmente per chi l’ha) a cui non ci si può sottrarre. La morale è un imperativo categorico, come credeva Immanuel Kant, a cui non puoi sfuggire; è una richiesta interiore che non puoi eludere e, alla quale devi solo obbedienza.
Naturalmente, per lo più pensano e credono si tratti di un enorme contenuto di regole interiorizzate volto al bene e costituito da tante cose di valore anche di genere pubblico/sociale. Certo è pure ciò. Per noi occidentali, questo contenuto di regole coincide altresì con un contenuto divino, cioè la morale cristiana.
Spesso si confonde la morale con l’etica la quale, a mio parere, è cosa molto differente. Vai a spiegarlo a molti filosofi o a uomini di scienza, non certo per affermare qualcosa ma, semplicemente, per ascoltare una risposta del tipo: va bene, ragioniamoci sopra. Comunque, i filosofi sopra ci ragionano, molto meno gli uomini di scienza e i religiosi.
L’etica riflette sulla morale e, al contrario della morale, essa attiva, per dirla alla Spinoza, un processo di liberazione dell’individuo.
Veniamo al dunque: la perdita di valori (preannunciata a suo tempo da Nietzsche e oggi fortemente presente), soprattutto, per la nostra incapacità di trovare principi dotati di una certa solidità, ha generato, con il tempo, come intuì Husserl, ambiti di sapere conclusi in sé aventi per oggetto di indagine una disciplina specifica – es.: astronomia, biologia, chimica ecc..(che identificò come Ontologie Regionali) le quali tenterebbero di svilupparsi come modelli di verità.
È abbastanza ovvio, per il sottoscritto, che il desiderio di ancorarsi a qualcosa di certo e chiaro ha il potere di rassicurarci. Non dico che non lo si deve fare, e, tra l’altro, non potrei affermare una cosa del genere senza pensare di dire, a mia volta, una verità.
Qualche giorno fa un giovane amico (dovrà dare, a breve, un esame universitario sull’argomento) mi domandò cosa ne pensassi della psicoanalisi e, in particolare, di Freud; ho naturalmente esposto il mio parere, e, quando mi sono permesso l’ardire di denominare il super-io di Freud come inconscio normativo o morale, introducendo, altresì, la parola “dio”, mi sono reso conto di essermi giocato una parte della sua stima e dell’amicizia.
Qual è il problema? Il problema sta nel fatto che abbiamo sempre necessità di appellarci a modelli accertati per rassicurare la nostra psiche. Mi spiego: ogni disciplina o dottrina, a parte la filosofia che infatti non è una disciplina e quindi non è nemmeno una dottrina, ha generato modelli di pensiero che si sono rivelate gabbie. Questi ci tranquillizzano, poiché ci permettono di interpretare la realtà secondo un riferimento mentale precostituito, azzarderei un preconcetto. Faccio un esempio:
avete presente quelle figure rebus tipo Anatra/coniglio? Cioè quelle immagini dove concentrandoci possiamo vedere alternativamente, ma mai insieme, una figura al posto di un’altra? Ecco, prendiamo questo noto esempio. Anzi, immaginiamo che avendo davanti a noi un groviglio caotico di segni di cui non ci si raccapezza nulla, ad un certo punto ci giunga una illuminazione che consentisse a noi di decifrare quel groviglio trovando all’interno di esso una certa immagine, e che la stessa istante dopo istante risultasse sempre più nitida. Penseremmo di certo d’aver trovato la soluzione in modo certo e chiaro.
Quindi, se fossimo sicuri di aver di fronte l’unica vera realtà smetteremmo di cercare e ci concentreremmo solo su di essa (non avrebbe senso tra l’altro fare diversamente). Il rischio che corriamo è che quell’ambito di realtà potrebbe rivelarsi una gabbia.
Molto spesso accade questo, anzi per lo più accade proprio questo.
Diversamente in una situazione di incertezza continueremmo a cercare, e di sicuro troveremmo altre figure (interpretazioni della realtà).
Alfred Korzybski, filosofo e matematico polacco nato nel 1879 e tengo a sottolineare l’anno della sua nascita, coniò una frase rivelatrice divenuta celebre in tutto il mondo, ripresa un po’ da tutti in generale: “La mappa non è il territorio”; inutile spiegare a questo punto cosa intendesse dire.